Le origini del Vin Santo di Vigoleno
Esistono numerose testimonianze storiche sulla produzione di vino a Vigoleno. Ecco un estratto dell'inventario del castello relativo alla cantina datato 3 marzo 1539, che indirettamente attesta il consumo di vino nel borgo: "In la prima caneva botte numero tre da vino vote... In una altra bora botte numero quattordici, in tre delle qual son brente sedici di vino, la maggior parte bianco". Negli archivi della parrocchia di San Giorgio si trovano riferimenti alla situazione dei terreni nei dintorni del borgo negli anni 1558/1559. Le vigne coprivano complessivamente un'estensione di 1578 pertiche, equivalenti a circa 120 ettari.
Più rari invece i documenti sulla nascita del Vin Santo a Vigoleno. I più lontani si trovano nel ricco fondo Scotti Douglas da Vigoleno, si trova il libro del dare e dell'avere dei fittabili di Vigoleno dove sono riportate due note del 1826 che attestano quanto meno l'esistenza del Vin Santo in quell'epoca. Una di queste riporta: "ricevuta uva da Vino Santo dal masaro pesi diecinove e mezzo in prezzo di lire due e soldi dieci".
Altre fonte storica è quella orale, incarnata dai discendenti dei primi produttori, che ricordano fosse d'uso imbottigliare un certo numero di bottiglie di Vin Santo in occasione di una nascita per poi regalare le bottiglie al nascituro una volta sposato. Si narra di una bottiglia del 1900 ancora bevibile nel 1967.
Il disciplinare di produzione
Il Vin Santo di Vigoleno è una delle 18 tipologie previste dalla denominazione di origine controllata Colli Piacentini, ed è uno, probabilmente il più pregiato, dei vini da dessert della provincia di Piacenza. Il disciplinare di produzione dei Colli Piacentini prevede un vin santo che può essere prodotto in 24 comuni e il Vin Santo di Vigoleno.
Quest'ultimo fra tutti i Vin Santi italiani è quello che, per disciplinare, prevede il periodo di affinamento più lungo prima dell'immissione al consumo, insieme solo ad alcuni Vin Santi toscani Riserva.
Il disciplinare del Colli Piacentini Vin Santo di Vigoleno risale al 1996 ed è stato modificato nel 2010, prevede attualmente l'utilizzo di uve santa maria e melara per un minimo del 60% mentre il rimanente può provenire da uve bianche non aromatiche raccomandate e/o autorizzate dalla provincia di Piacenza, in genere si tratta delle varietà marsanne e/o bervedino e/o sauvignon e/o ortrugo e/o trebbiano romagnolo. La santa maria è di origine sconosciuta; secondo la tradizione orale si tratta di una varietà tipica della Val d'Arda, così come la melara.
L'area di produzione comprende la porzione collinare tra la Valle d'Ongina e la Valle dello Stirone, compresa nel territorio del comune di Vernasca.
Le operazioni di vinificazione, di invecchiamento obbligatorio, di imbottigliamento e di affinamento in bottiglia devono essere effettuate solamente all'interno del territorio amministrativo del comune stesso.
Le uve devono essere appassite su pianta e su graticci, prima della spremitura che può avvenire solo dopo il 1° dicembre dell'anno di raccolta. Il disciplinare parla di colore "dorato o ambrato più o meno intenso" ma in realtà tende più spesso all'ambrato, e di sapore "dolce, armonico, pieno, corposo e vellutato". L'invecchiamento minimo deve essere di 60 mesi, di cui almeno 48 mesi in botti di legno (di capacità non superiore a 500 litri) a decorrere dal 1° novembre dell'annata vendemmiale. Il vino deve essere immesso al consumo esclusivamente in bottiglie "renane" di capacità 0,375-0,500 con tappo raso di sughero.
I vitigni
Le uve attualmente più utilizzate sono quelle della tradizione locale in particolare santa maria (vedi foto) e melara, e cioè uve poco aromatiche perché l'appassimento, l'ossidazione e i lunghi periodi di affinamento tendono a mascherare i profumi primari. Infatti nel tempo il vino acquista pronunciati aromi terziari e ossidativi che fanno passare in secondo piano quelli primari.
Quel che più conta è utilizzare varietà a grappolo spargolo, con pochi acini ben distanziati tra loro, a buccia spessa e resistente, per far sì che l'uva appassisca senza marcire. Allo stesso scopo le uve non vengono mai raccolte troppo mature, perché l'acino diventerebbe troppo vulnerabile. La raccolta è fatta manualmente scegliendo i grappoli migliori, sani e asciutti che vengono posti all'interno di ceste di vimini o cassette in un unico strato.
L'appassimento
Vengono utilizzati i classici solai, dove i grappoli vengono stesi su graticci o piani castello, o cassette di legno. Qualcuno appende i grappoli al soffitto, a due a due su pali di legno evitando contatti fra di essi. L'importante in ogni caso che circoli aria, anche tra un grappolo e l'altro. Durante la fase di appassimento il locale deve essere costantemente controllato ed è necessario eliminare eventuali acini marciti o rovinati dagli insetti.
I solai devono essere sani e asciutti per permettere l'essicamento delle uve: l'aria assorbe l'umidità dell'acino con la quale viene a contatto. Alla fine dell'appassimento la perdita di peso dell'acino varia dal 25% al 45-50% ed è diretta conseguenza della perdita d'acqua, che può avvenire solo se l'ambiente non è soprassaturo di umidità; in questo caso l'aria non riuscirebbe ad assorbire l'acqua dell'uva posta ad essiccare.
Durante l'appassimento le uve avvizziscono ed assumono il caratteristico colore bruno-cuoio, avviene una concentrazione degli zuccheri che raddoppiano dal 18-20% al 35%-40%, aumentano l'acido fosforico (implicato nella formazione di composti energetici durante i processi fermentativi), le sostanze azotate (che, se presenti in quantità non eccessive, fungono da nutrimenti per i lieviti e sono implicate nella formazione di alcoli superiori responsabili di alcuni piacevoli aromi) e si modificano gli aromi primari.
La durata dell'appassimento varia a seconda dell'annata, quindi dello stato sanitario dell'uva, del grado di calore e di ventilazione degli appassitoi, ma mediamente a Vigoleno ha una durata di tre mesi.
La vinificazione
La torchiatura avviene dopo il primo dicembre con presse o torchi da cui si ottiene un liquido denso, bruno che sarà decantato e filtrato per eliminare frammenti di raspo e vinaccioli, prima dell'immissione nelle botticelle o nei caratelli. Dalle uve fresche si ha una resa dal 15 al 25-30% e il contenuto zuccherino del mosto varia dal 25 al 40%.
Il prodotto della torchiatura viene posto in un tino che viene coperto da un velo per evitare contaminazioni e viene lasciato fermentare per 20-30 gg. senza aggiunta di anidride solforosa. In questa fase si forma una pellicola di 5 mm di spessore verde all'esterno e rossastra nella parte a contatto col mosto-vino. Probabilmente si tratta di muffe e lieviti che conferiscono un particolare profumo al prodotto.
Dopo la svinatura il mosto vino viene posto in piccole botte di rovere per completare la lunga fase di fermentazione-affinamento, che procede lentamente a causa dei pochi lieviti, dell'alta densità del mosto e del clima rigido che si registra quando inizia la fermentazione.
Il secondo travaso è effettuato per tradizione il giorno di San Giovanni (24 giugno).
L'affinamento nei caratelli
La denominazione di "caratello" pare che derivi da "carrata" cioè botte trasportata su un carro. L'affinamento dura cinque anni e durante questo periodo nelle botti scolme si forma il caratteristico e ricercato bouquet ossidativo grazie all'azione dell'ossigeno.
Durante questo periodo il vino assume dal legno composti aromatici che non devono contrastare gli aromi propri, scaturiti dalla lunga fermentazione, avvengono inoltre numerose modifiche quali scambi gassosi e precipitazioni che chiarificano e stabilizzano il prodotto, variano poi il colore ed i tannini, diminuisce l'acidità totale e si formano sostanze chiamate aldeidi, derivate dall'azione dell'ossigeno sugli alcoli.
Complessivamente da 100 kg di uva fresca si ottengono 55-60 kg di uva appassita, i quali daranno circa 20-30 kg di mosto e considerando i cali per invecchiamento circa 15 -25 kg di Vin Santo, alla fine del processo produttivo dunque la resa dall'uva fresca al Vin Santo e tra il 10 e il 25%.
Gli abbinamenti enograstronomici
Dal punto di vista organolettico il Vin Santo di Vigoleno si presenta generalmente di colore ambrato, con profumi intensi e persistenti composti da note di miele, frutta candita, zabaione, crema pasticcera, tamarindo, torrone, liquirizia, mallo di noce e caramello. Al gusto è un vino dolce, potente, morbido, cremoso, grasso e persistente.
Per l'abbinamento corretto dobbiamo tenere presente che le caratteristiche organolettiche del cibo non sovrastino quelle del vino e viceversa, ovvero cibo e vino dovranno esaltarsi e completarsi vicendevolmente. L'abbinamento può essere fatto per concordanza e quindi proposto con cibi dolci come la pasticceria secca, in particolare con biscotti di mandorle, nel piacentino chiamati straccadenti, ma anche con crostate, bavaresi di frutta oppure panettone.
Si possono fare anche accostamenti per contrapposizione, forse meno ovvi, con formaggi stagionati ed erborinati come il gorgonzola naturale o roquefort meglio se serviti con miele, oppure con foie gras e patè di fegato per ammorbidirne le note amarognole.
Si può infine degustare il Vin Santo di Vigoleno come una sorta di dessert aggiuntivo, come vino da "meditazione" senza nessun accompagnamento, se non una buona conversazione.
A Vigoleno si consiglia lo zabaione con un tuorlo, un cucchiaio di zucchero e mezzo bicchierino di Vin Santo.
Può essere servito da solo in coppa con fragoline di bosco e piccole lingue di gatto oppure caldo su una geleè di vin santo. La geleè (dose per 6 persone) si realizza sciogliendo un cucchiaino di agar-agar in mezzo litro di vin santo, si fa bollire per due minuti o poi si spegne. Si distribuisce nei bicchieri alcuni chicchi d'uva spellati, un pizzico di lamelle di mandorle tostate, foglioline di menta e la gelatina di vino tiepida in quantità sufficiente a riempire per due terzi i bicchieri che vanno poi tenuti in frigorifero finchè la gelatina si sarà rappresa. Si versa lo zabaione tiepido sulla gelatina e si completa con altre mandorle e foglie di menta.
A quale temperatura va degustato il Vin Santo? Dipende dal tipo di sensazioni ricercate in un determinato momento. Le basse temperature esaltano le sensazioni "dure" (acidita' - tannini) mentre le alte temperature esaltano quelle morbide (zuccheri, glicerina, alcol).
A basse temperature quindi si riduce la sensazione alcolica e quella di dolcezza, ed è più facilmente avvertibile la freschezza dovuta all'acidità, mentre ad alte temperature si evidenziano maggiormente il contenuto alcolico e la dolcezza, ma anche la complessità aromatica, perché le molecole odorose, con il caldo evaporano più facilmente.